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La nuova esposizione presenta immagini inedite della collezione di artisti tra cui: Margaret Bourke-White, Bill Brant, Robert Doisneau, Walker Evans, Harry Gruyaert, Lewis Wickes Hine, W. Eugene Smith, Andreas Gursky, Stéphane Couturier, Doug Menuez, Toni Schneiders, Toshio Shibata, Albert Renger-Patzsch, Simon Norfolk, Lee Friedlander, Peter Keetman, Timm Rautert, Walter Vogel, oltre ad un opera composta da 53 fotografie di Lewis Baltz e Naoya Hatakeyama, uno degli artisti leader dell'arte contemporanea giapponese, con le Maquette/Lights (foto retroilluminate) esposte per la prima volta in Italia.
La Collezione MAST di Fotografia su Industria e Lavoro, a cura di URS STAHEL, è la prima del suo genere al mondo ed in continua crescita con nuove acquisizioni. La prima esposizione del 2014 presenta le opere di 46 fotografi e si articola in cinque sezioni tematiche, come lo spazio espositivo. Anche la mostra alla MAST Gallery è curata da Urs Stahel.
1. LAVORO, LAVORATORE: il ritratto del lavoratore e l'immagine del paesaggio industriale sono presentati nel mutare con il corso del tempo, dall'inizio del XX secolo ai giorni nostri.
2. AREA INDUSTRIALE, IMPIANTO INDUSTRIALE: il teatro della produzione industriale è discusso attraverso coppie d'immagini contrapposte: "Un tempo e oggi".
3. CHIAROSCURO: la fabbrica nera, infuocata, buia e straripante di operai del passato e i padiglioni bianchi, asettici, luminosi e vuoti dei giorni nostri.
4. VISIBILITA', INVISIBILITA': il contrasto tra i macchinari imponenti, pesanti, con processi visivamente leggibili degli inizi e i muti, enigmatici, asettici strumenti di produzione moderni.
5. FLUSSI DI ENERGIA, FLUSSO DI TRAFFICO, FLUSSO DI DATI: qualunque processo di produzione industriale non può mai fare a meno di: energia, trasporti, movimentazioni di materie prime, semilavorati e merci, ed ora di flussi di dati e di comunicazioni tra uomini, macchine e apparati. Con questi cinque capitoli la Fondazione MAST ha iniziato la scrittura di una storia dell'industria e del lavoro attraverso le immagini di importanti fotografi, che ne documentano la nascita e la sua evoluzione fino ad oggi.
Viviamo infatti, nel mondo occidentale, in quella che viene comunemente definita era postindustriale. Molte fabbriche sono state chiuse e i processi produttivi delocalizzati. L'Europa sta cambiando volto, trasformandosi in un grande continente erogatore di servizi. Il concetto di post-industriale ha tuttavia valore solo se riferito al fatto che, pur avendo trasferito numerose imprese in Asia e delocalizzato i processi produttivi, continuiamo a trarre profitto dai risultati economici ottenuti. Meno calzante risulta invece se consideriamo che i punti cardine rimangono ancora quelli di un'economia di tipo industriale: ideazione, investimento, produzione.
In passato la società ha sovente vissuto con un certo disagio il suo rapporto con l'industria. Era chiaro in origine, e lo è tuttora, che l'industria risponda a un nostro bisogno, rappresenti un enorme beneficio, crei prosperità e ci renda la vita più facile. Ma in quali termini ne parliamo? È evidente per tutti come il piacere per le cose belle sia fortemente radicato nella nostra società. Parliamo della bellezza del paesaggio, di belle arti, di moda, di bella gente, di belle auto. Al contrario si parla meno volentieri quando ci si riferisce ai processi di produzione. È come se un'immagine ricorrente, evocata dall'industria pesante di un tempo, incombesse ancora oggi sull'intera branca della produzione industriale. Così, se da un lato discutiamo di buon grado di risultati straordinari e prodotti eccezionali, dall'altro si tende a sorvolare sulle difficoltà a cui la produzione e i produttori vanno incontro. E in alcune circostanze si allude all'industria come alla zona d'ombra della società. Questo dato di fatto trova conferma nella controversa relazione con le immagini del mondo dell'industria. Per decenni le foto delle fabbriche sono state trattate con totale indifferenza e non di rado venivano gettate via quando un'impresa cambiava proprietà. È solo di recente che abbiamo cominciato a rivalutarle e recuperarle, rendendoci così conto di aver rimosso la testimonianza di quasi una metà del mondo, della storia, dell'universo della produzione industriale: un mondo che fornisce una chiave di lettura preziosa della nostra vita, del nostro pensiero e delle nostre attività.