SUKETU MEHTA SUKETU MEHTA

DOMENICA 19 SETTEMBRE
ORE 18.30
MAST.AUDITORIUM

TALK

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DI FINISSAGE DELLA MOSTRA, FONDAZIONE MAST ORGANIZZA UN EVENTO CON UN OSPITE D'ECCEZIONE 

SUKETU MEHTA
CONFINI E CITTÀ DOPO LA PANDEMIA

Le migrazioni sono una costante della storia umana. E oggi piú che mai, perché le conseguenze del colonialismo, delle guerre, del cambiamento climatico hanno reso la vita impossibile nei loro Paesi d’origine a milioni di persone. Suketu Mehta, con la chiarezza e la passione che l’hanno reso celebre, ci racconta perché un pianeta in movimento è la cosa migliore che potesse capitarci.
«Siamo qui perché voi siete stati lí»: è cosí che rispondeva il nonno di Mehta a chi gli chiedeva perché avesse lasciato l’India per l’Inghilterra. Una risposta semplice, diretta, cosí come è diretto Mehta nell’affrontare l’argomento in Questa terra è la nostra terra (Einaudi). Partendo dalla sua esperienza personale – lo scrittore è emigrato ragazzo da Bombay a New York con la sua famiglia –, Mehta fa il giro del mondo per delineare il quadro della situazione in Occidente: dalle frontiere e recinzioni alle politiche di molti governi europei, il sentimento prevalente è la paura. E allora tutti a difendersi, chiudersi, respingere invece di accogliere. È un errore, e Mehta lo racconta in questo vero e proprio manifesto a favore dell’immigrazione: non si può che trarre vantaggio dall’apertura, dall’accoglienza, dallo scambio.

 

Suketu Mehta, scrittore e giornalista, è nato a Calcutta, India, cresciuto a Bombay (oggi Mumbai) e si è trasferito ragazzo a New York, dove tutt’ora risiede. Vincitore di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui la Guggenheim Fellowship e l’O. Henry Prize, è l’autore di Maximum City. Bombay città degli eccessi, finalista al Premio Pulitzer e libro dell’anno per «The Economist», e La vita segreta delle città, entrambi pubblicati da Einaudi. Ha scritto sul «The New Yorker», «The New York Times Magazine», «National Geographic», «Granta», «Harper’s, «Time», «Newsweek» e sulla «The New York Review of Books».